Pierluigi Cucchi

“Mi par quasi di essere nato al bar, tanto è presente in tutti i miei ricordi. Quello dei miei era vicino alla piazza, la gente del mio paese lo ricorda ancora. Ci sono cresciuto, ricordo da sempre l’aria spesso fumosa, il tintinnare dei bicchieri, l’aroma del caffé e lo sfrigolare del vapore. La placidità di certi momenti e poi, all’opposto, la vivacità del chiacchiericcio che s’alza di tono quando le chiacchiere da bar s’infervorano nella discussione. Luogo della memoria per molti della mia generazione, momento di iniziazione al mondo degli adulti. Assai più di questo per me, nel suo essere quotidianità e certezza. Quanto importante l’ho capito quando, ragazzo, ho cominciato a lavorare: su una nave, per diventare barman, e poi, adulto, a dar vita a locali ogni volta differenti. Diversi come sono diverse le tante anime del bar che spesso si rincorrono e si sovrappongono lungo la giornata, altre volte si offrono in una di unicità. Momento dell’inizio e della pausa, il primo caffé, le brioches profumate, i giornali sul tavolo presso il bancone, la fretta che si placa con il passare delle ore, poi di nuovo la frenesia dell’ora di pranzo, le ore lente del tè e della cioccolata fino alla vivacità dell’aperitivo e al cicaleccio del dopo cena. Caffetteria, cioccolateria, sala da tè, una faccia diversa della stessa anima su su fino al principe dei locali, l’american bar. La cultura del buon bere è fatta di molte sapienze, io posso regalare la formula che permette un dosaggio proporzionato ma il cocktail vive anche nel rispetto, e della conoscenza, di chi lo prepara per i suoi ingredienti.”

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